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Immagine del redattoreDrimage Creative Studio

Storia vera di dilettanti allo sbaraglio


Aspetto di raccontare questa storia da diversi anni, un episodio che mi ha veramente segnata in prima persona.

Sentiamo e leggiamo tantissimi post in cui si spiega perché scegliere un fotografo professionista per il proprio matrimonio, ma spesso si resta dell’opinione che non c’è niente di male a far fare le foto al nostro amico che sa usare la macchina fotografica.

Quasi sembra un’esagerazione che il professionista colga gli attimi e tuo cugino no.

Ma tu hai mai visto un retroscena di un improvvisato?

Che cosa può andare storto? Sono solo foto.

Eppure tutti noi conosciamo una o più spose che si sono affidate ad un amico, parente o fotoamatore e poi ne parlano male, dicendo che il lavoro è orrendo e si vergognano anche di farlo vedere ad altri. Ma ancora non siamo convinte, magari si è rivolta al parente sbagliato, con il nostro sicuramente andrà meglio.

La sposa di questo matrimonio è proprio come te: ha un amico che sa usare la macchina fotografica, quindi gli ha commissionato il servizio del proprio matrimonio. L’amico a sua volta ha chiamato un altro amico per fare il video e, giusto per sicurezza, ha chiamato anche me: l’amica dell’amica che sa fare le foto da matrimonio e che sta per aprire il suo studio.

I nomi delle persone sono ovviamente inventati per privacy.

Avevo 23 anni, ma lo ricordo come se fosse ieri. Un bel giorno arriva una chiamata da questo amico che realizza servizi fotografici, diciamo un amatore “evoluto” che si vantava spesso della sua grande esperienza in fatto di servizi in genere e di matrimoni. Due giorni dopo avrebbe fatto le foto e il video al matrimonio di una sua amica e gli sarebbe servito un secondo fotografo per dargli una mano. Non mi ha convinto molto il cercare collaboratori a 48 ore dall’evento, ma non ho dato peso alla cosa.

Ne sono stata davvero felice e ho accolto la proposta di buon grado. Questo perché nella mia vita non avevo mai fatto il secondo fotografo, ma sempre il primo ed unico, il che significa il massimo della responsabilità, il massimo dello stress, il dover coordinare tutto ecc ecc.

Questa volta no, finalmente potevo scaricarmi di tutte le responsabilità e fare fotografia creativa, ovvero tutti quei dettagli che potrebbero sfuggire o comunque su cui non ti puoi concentrare a pieno nei momenti della giornata.

Oggi il “capo” l’avrebbe fatto qualcun altro!

Arriva il grande giorno, il fotografo che chiamerò Mafaldo, mi viene a prendere a casa. Salgo su questa macchina i cui interni erano completamente ricoperti di cenere di sigaretta … e vabbé, avremmo parcheggiato lontano, spero. Chiedo qualche informazione preliminare della giornata, tipo dove fosse la casa della sposa, così mi accorgo che non stiamo andando nella direzione giusta.

Dove stiamo andando? Mafaldo dice “a casa mia, devo restituire la macchina che serve a mia madre, ci accompagna e ci lascia lì, poi chiediamo ai parenti della sposa un passaggio fino in sala”. Hai avvisato la sposa di questo? Ovviamente no, ma siccome sono amici magari non sarebbe stato un problema.

L’operatore video (amatore molto meno evoluto) ci avrebbe raggiunti dalla madre di Mafaldo.

Mafaldo tira fuori la sua valigia super professionale con dentro attrezzatura molto costosa, davvero un bel corredo e su questo nulla da dire. Arriva il ragazzo del video, che chiameremo Guglielmo, con una videocamerina da centro commerciale, sai tipo le Sony con lo sportellino, piccole che ci entrano in tasca? Quella.

Ci presentiamo e chiacchieriamo un po’ nell’attesa di essere scortati a casa della sposa. Lo sposo non avrebbe fatto foto a casa perché non le voleva.

Qualcuno chiede quante schede di memoria ci eravamo portati, magari per farsi un po’ il figo.

Mafaldo aveva una sola scheda da 8 GB.

Guglielmo una sola scheda da 4GB.

(Noi ai matrimoni di quell’anno portavamo 64GB per le foto e 96GB per il video, più delle schede e delle macchine di scorta.)

In quell’occasione avevo due schede da 32GB e delle schede in più, che ho prestato a Guglielmo che era sbiancato quando gli dissi che probabilmente non gli sarebbe bastato lo spazio per il video.

Raccolgo informazioni sugli sposi: una coppia che non ama le foto, in particolare quelle in posa, che hanno chiesto reportage e avrebbero fatto al massimo qualche foto nei giardini della sala fra il primo e il secondo. Gli dico che probabilmente le foto con i parenti a casa della sposa le vorranno fare, lui dice di no, io dico di sì, ma il capo è lui stavolta e io mi adeguo. Azzardo anche che qualche posa nelle foto in sala la vorranno fare, dice di no, dico di sì, lasciamo stare.

Arriviamo a casa della sposa che chiameremo Lucia (e Renzo lo sposo). Mafaldo e Guglielmo fanno quattro foto e scompaiono dalla stanza. Conosco la truccatrice che mi guarda come per dire “che ci fai con loro?”. Resto a seguire tutta la situazione come sempre, faccio degli scatti aspettando di cogliere i momenti giusti. Fin qui tutto ok.

La parte critica arriva quando la sposa, a sopresa (per loro, ma in realtà è la norma) chiede di fare le foto di rito con i parenti. Mafaldo va leggermente in panico perché non sa dove sistemarli, non si aspettava le foto di rito, così guarda me e io li sposto in un angolo del salotto.

Questione risolta.

Dal momento che dovevamo arrivare alla chiesa a piedi non avendo la macchina, chiedo alla sposa il numero del suo autista, in modo da poterla avvisare per entrare in chiesa, quando fossimo stati pronti, perché di certo sarebbe arrivata prima di noi. Mafaldo e Guglielmo accolgono con entusiasmo questa pensata, se non fosse che nessuno dei due avesse credito sul cellulare nemmeno per fare uno squillo. Così anche questo incarico lo prendo io.

Come previsto la sposa arriva prima di noi e aspetta la nostra chiamata come pattuito.

Arrivati in chiesa Mafaldo scompare per diversi minuti. Dove stava?

Lo trovo accucciato fra i banchi con il portatile e la macchina fotografica a terra.

Che fai?! La sposa deve entrare! Sono tutti fuori ad aspettarla col prete!

Stava scaricando la sua unica scheda, aveva finito lo spazio. Imbarazzo generale, prete che inizia a seccarsi, sposo che scalpita… aspetto altri due minuti e avviso che le avrei dato il via senza aspettarlo e così ho fatto. Di nuovo la responsabilità e lo stress di accertarmi che non mancasse niente.

In chiesa non vedo Mafaldo e Guglielmo, nessuno scambia uno sguardo con me, non so cosa fanno, non so se sono pronti… sono abituata al mio team dove la comunicazione è costante, basta uno sguardo per intenderci. Lì invece non riuscivo mai a trovarli, sembravano ognuno per conto proprio. Così anche in chiesa mi sono assicurata di portare a casa gli scatti principali.

Cerimonia finita, autostoppiamo un parente della sposa per arrivare in sala. Andiamo a bere qualcosa? Propone lui. Ovviamente gli altri accettano di buon grado.

Fu così che arrivammo in ritardo pure in sala.

Conoscevo anche gli animatori e mi guardano come “che ci fai con loro?”.

Fra il primo e il secondo gli sposi vogliono fare i famosi esterni, usciamo sulla terrazza del ristorante che dà sulla spiaggia. Una situazione di luce davvero improponibile, sfondo completamente nero. Tecnicamente era difficile ottenere risultati soddisfacenti, il primo fotografo avrebbe dovuto inventare uno schema luce non indifferente.

Mafaldo no, urla di fare “qualcosa” e scatta con il flash in faccia agli sposi, che sono completamente in imbarazzo.

Mafaldo guarda il monitor della sua macchina e poi guarda me con aria disperata, al che li faccio accomodare, ci scherzo un po’ e con garbo li sistemo in una posizione comoda. Continuando a parlare con loro sistemo come posso un flash di lato (viaggiavo leggera, in fondo ero solo il secondo fotografo…) e scatto. Continuo così con altre due pose e poi passo la palla a Mafaldo per non monopolizzare la scena. Ci prova, li fa stare fermi per tentare degli scatti che non gli riescono, lo dice ad alta voce niente, non esce”, lo dice davanti agli sposi che un tantino si scoraggiano. “Dagli ancora qualche posa, mi piace come li metti tu” mi dice Mafaldo.

E di nuovo divento il primo fotografo della situazione.

Finita la sessione torniamo dentro. Mafaldo e Guglielmo si tuffano a mani aperte sul buffet dei liquori e iniziano a darci dentro con amari e grappe di ogni genere. Gli sposi vogliono fare le foto di rito con amici e parenti, stavolta li ho sistemati direttamente dove volevo. Mafaldo si posiziona esattamente accanto a me e scatta le sue foto… che non gli escono, ancora una volta lo dice davanti agli sposi. Non gli uscivano perché il flash non si sincronizzava con la macchina (causa suo errore di impostazione), mi fa vedere al volo il monitor della macchina e vedo gli sposi completamente blu, con una sfumatura nera che li copre per metà.

Non ho osato immaginare le foto del resto della giornata.

Dopo le prime foto i due erano decisamente ubriachi, mentre io non avevo quasi mangiato e non avevo bevuto niente per rimanere vigile, come sempre.

Da quel momento gli sposi, quando serviva una foto, dicevano “chiama la fotografa, è quella ragazza lì” scavalcando completamente Mafaldo. Insomma, eravamo alla frutta.

Fine serata, aspettiamo che qualcuno ci dia un passaggio fino a casa, quando Guglielmo si avvicina al tavolo della confettata e bomboniere e chiede, barcollante per l’alcool, al padre della sposane posso prendere una?”. Il padre della sposa va nell’imbarazzo totale e farfuglia che le bomboniere sono contate e Guglielmo, senza vergogna, chiede se poteva almeno portarsi a casa un po’ di confetti perché sua madre gli aveva detto che le piacevano e gli aveva raccomandato di portare a casa un bel bottino.

Con questa ciliegina sono sprofondata nella vergogna e mi sono ripromessa di non accettare mai più collaborazioni del genere.

Qual è la morale della favola?

Mi viene naturale pensare: se non ci fossi stata io, se non ci fosse stato un “vero” fotografo, che ne sarebbe stato delle foto di questi sposi?

E pensare che era il tipo di matrimonio “facile”, senza intoppi, tutto liscio, poca richiesta di creatività da parte del fotografo, senza grosse pretese, a sostegno del fatto che anche l’evento più semplice se non è gestito da professionisti può andare a rotoli.

Possono andare storte un milione di cose, la differenza è che il professionista ha il “ghiaccio nelle sacchette” come direbbe il mio socio, ovvero ha l’autocontrollo per risolvere qualsiasi tipo di situazione con tranquillità e senza dare nell’occhio, il dilettante va nel panico e compromette il servizio.

Epilogo.

La scheda che avevo prestato a Guglielmo me l’hanno persa e non l’ho più rivista.

Metà del mio compenso mi è stato corrisposto subito e metà dopo circa un anno.

L’animatore ancora si ricorda di me a quel matrimonio dopo anni.

La sposa ha tutt’ora come immagine di profilo Facebook una mia fotografia.

Non ho mai più accettato lavori del genere, se non con veri professionisti.

NB.: Queste sono considerazioni puramente lavorative e non ho nulla contro i due ragazzi che sono brave persone. I fatti sono stati riportati così come sono avvenuti.


E voi avete mai avuto esperienze del genere? Raccontateci la vostra storia!

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